Breve rassegna di concetti con qualche umile spunto pratico per la vita in comunità.
Il paradigma della complessità è un fenomeno culturale dalle proporzioni enormi, capace di comprendere la cultura scientifica tanto quanto quella umanistica.
È capace di spiegare bene molti aspetti del tempo che viviamo e ci può dare utili consigli pratici per affrontare la complessa vita delle comunità.
La verità è distribuita
Per capirsi in quanto segue, è fondamentale un presupposto. Chi non è abituato alle stranezze del paradigma della complessità, che sposta il focus dagli individui alle relazioni, deve fare uno sforzo di apertura mentale. Cominciamo con lo smontare il concetto di verità.
Da sempre, i racconti notturni attorno al fuoco, finite le attività pratiche della giornata, sono momento di socializzazione e di condivisione dei valori culturali. È il luogo in cui la comunità costruisce le proprie grandi verità, comprese quelle narrazioni ultraterrene che danno speranza nei momenti più bui della persona ed unità d’intento nei momenti bui della comunità.
La verità è prodotto di paziente lavoro di accostamento di frammenti. Non è proprio come comporre un puzzle perché non c’è una precisa tassellazione. I frammenti si sovrappongono, s’incastrano, contengono impurità, sono danneggiati. Penso ai numerosi gialli d’investigazione che ho letto ed alle indagini giornalistiche che ho ascoltato. Penso alle testimonianze ed alle prove raccolte sulla scena del delitto.
I frammenti sono le informazioni e le conoscenze di cui ciascuno è depositario. Nessun frammento è di per sé la verità su un certo fenomeno, su una certa vicenda.
Più un’informazione o conoscenza è condivisa e più la consideriamo vera.
Siamo fatti così. Punto. Alla base della nostra capacità di conoscere ci sono dei meccanismi che inevitabilmente scoprono il fianco ad errori ed omissioni. Si pensi, per esempio, all’illusione ottica della scacchiera di Adelson.
Morale: solo col confronto e col dialogo possiamo comporre il quadro e conquistare, insieme, un po’ di verità.
Tutto è connesso
Quando ragiono su qualunque cosa, persona, vicenda, fenomeno etc. spesso dimentico che la realtà è unitaria ed è solo la mia mente che la “porziona”, suddividendola in cose, persone, vicende, fenomeni etc. Non c’è un modo univoco, unico per tutti di “porzionare” la realtà: dipende dalla mia cultura, dai miei scopi, da interferenze subite dal mio processo di elaborazione… In ogni caso, la mia attenzione è limitata e devo fare una selezione, non posso esaminare tutto contemporaneamente.
Ma, sotto sotto, tutto è connesso. In base al microscopio o al macroscopio che uso, distinguo legami causa-effetto su diversi piani dell’esistenza. Col microscopio, vedo le singole pennellate del pittore sul quadro, perdo la visione d’insieme ma magari riesco a capire il perché di certi effetti specifici. Col macroscopio, perdo la cognizione di causa sulle dinamiche interne di ciò che sto attenzionando ma guadagno comprensione sulle interazioni tra l’osservato ed ambiente circostante; passo dal funzionamento e dalle funzionalità alla funzione ed alla collocazione dell’osservato (vedi “la rivoluzione olonica“).
Molto bello, da questo punto di vista, il video breve “Cosmic eye” di Danail Obreschkow.
La realtà è più importante dell’idea
Posso esaminare una qualunque questione da vari punti di vista, non solo variandoli lungo l’asse micro – macro sul piano fisico, come mirabilmente proposto nel video di cui sopra, ma anche lungo l’asse concreto – astratto. Il piano più concreto è quello dalle percezioni dirette, dei miei sensi. Le informazioni sensoriali sono più certe, più vere del sentito dire perché sono basate su meccanismi biologici comuni a tutti gli esseri umani. In linea di massima, credo che chiunque al posto mio avrebbe le mie stesse percezioni, più o meno.
Astraendo, si passa al piano delle sensazioni, poi a quello delle emozioni ed intuizioni e così via fino al piano dell’immaginario e virtuale per finire a quello spirituale.
Quante volte mi è capitato, senza riflettere attentamente, di scambiare informazioni ottenute “per sentito dire” con dati sensoriali!
Sistemi e fenomeni ben di rado sono rilevanti su un unico piano di astrazione. Penso a tutti i casi simili a quello del telefono senza fili: in una comunicazione si verifica un equivoco, si cerca di risolvere, si disputano torti e ragioni e magari la causa era un difetto della linea. Nel film “Domino” viene presa una decisione drastica che costa il braccio ad una persona. Ma la decisione comunicata non è la decisione presa, ed un tragico errore sorge su un banale disturbo della linea durante una telefonata.
Ci sono indubbiamente intrecci causa-effetto tra un piano di astrazione e l’altro – non me ne devo mai dimenticare. Per esempio, una scelta maturata a seguito di un percorso di orientamento lavorativo è un fenomeno che si svolge nei miei piani più alti ma poi ha effetto anche sui miei spostamenti fisici perché mi porterà ad accettare un lavoro distante da casa.
Molto insegna la pila ISO/OSI che codifica gli strati attraverso i quali avvengono le telecomunicazioni.
Similmente ci insegna lo studio delle comunicazioni interne al nostro cervello, tra i tre strati formatisi nel corso dell’evoluzione biologica:
- lo strato rettiliano, legato agli istinti di sopravvivenza;
- quello limbico, legato agli stati emotivi;
- la neocorteccia ove hanno sede le funzioni mentali superiori.
Come mi ha detto di recente la nutrizionista, se misuro il Ph della saliva prima e dopo aver ascoltato tutti i dettagli organolettici del limone amalfitano, sorprendentemente lo trovo cambiato: le sensazioni evocate agiscono per via ormonale e mi preparano a cibarmi della prelibatezza immaginata.
Ciò che accade nella comunicazione (“mettere in comune”) delle comunità non è dissimile. Se in una comunità le comunicazioni non sono fluide, facili ed ordinate, non posso certo aspettarmi una gran propensione alla collaborazione ed alla comunione.
Per esempio, le comunità cristiane, che ben dovrebbero conoscere il termine “comunione”, col venir meno della cosiddetta “società cristiana”, si trovano in una condizione che richiede un adattamento. Sono come popolazioni che si concentrano sulle cime di montagne divenute isole perché le vallate si sono riempite d’acqua. Servono imbarcazioni per passare sopra ai luoghi in cui un tempo si camminava. Soprattutto, servono ponti.
Dobbiamo costruire ponti. La tecnologia rende questo compito più facile, riducendo drasticamente limitazioni spazio-temporali ma questo serve solo per focalizzarsi sulle relazioni, il lavoro va comunque fatto e chiede fatica.
Effetto Matteo
Creare connessioni significa sia farsi prossimo sia fare rete. Le reti sono strutture che consentono lo sviluppo di processi complessi. Uno dei più interessanti e vistosi fenomeni delle reti sociali è il formarsi di nodi estremamente più connessi di altri. Penso ad internet e a nodi come Google o Amazon, capaci di reggere sfide globali come quelle a cui abbiamo partecipato durante la pandemia.
Come mai alcuni nodi diventano hub, centri di comunicazione, mentre altri restano nettamente meno frequentati?
Mi immagino che accada così. Un bel giorno, un nodo sorge. Cominciano a formarsi connessioni con qualche altro nodo. Ci sono anche altri nodi simili ma questo ha un piccolo vantaggio supplementare rispetto agli altri ed attira o facilita qualche interazione più degli altri. Avendo qualche connessione in più, essendo più raggiungibile, aumentano le interazioni che lo attraversano ed aumentano le probabilità che si formino ancora nuove connessioni. Come dire: “piove l’acqua sul bagnato”. Questa è la legge di potenza o di S. Matteo (vedi Mt 25,29).
Essa mi fa capire che certi fenomeni hanno una soglia, sotto la quale le interazioni di un nodo finiscono per spostarsi verso nodi simili ma più attrattivi, che crescono esponenzialmente. Nella rete, se ci sono nodi del genere, non c’è il secondo arrivato: o sono il primo o soccombo. Nessuno sente parlare di concorrenti di Amazon.
Nel mondo della finanza, questo ha portato all’esistenza dei cosiddetti unicorni: società con capitali ingenti, di proporzioni mai viste prima nella storia. Ma non serve andare nei mercati borsistici: anche nel piccolo tranquillo acquario della mia comunità locale riconosco la presenza di nodi centralizzanti e di soglie di accesso.
Non competo contro i super-nodi, lascio che gli eventi fluiscano. Piuttosto, li sfrutto “epidemiologicamente”, per contagio. Se penso di avere un’idea migliore, potrò metterla in circolo proprio sfruttando questi concentratori. Essi mi consentono di accedere a sotto-reti sociali per me altrimenti irraggiungibili, fornendomi, loro malgrado, nuove opportunità per propagare la mia proposta, se è realmente buona.
Crisi e catastrofi
La comunità è costantemente in divenire. Si evolve, cambia sotto i miei occhi. Trovo molto utile discernere ciò che posso controllare ed influenzare rispetto a ciò che devo considerare come un dato da acquisire o monitorare.
Particolarmente utile è poi riuscire a preconizzare i momenti critici, in cui il sistema subirà variazioni repentine per poi ri-stabilizzarsi raggiungendo una sorta di “nuova normalità”, piuttosto che esplodere o implodere.
Qualche volta, certi rapporti e certi gruppi della comunità sono come quadri appesi a rovescio.
È impossibile prevedere da che parte si muoverà il quadro per raggiungere il proprio equilibrio: ruoterà in senso orario o anti-orario?
In ogni caso, si tratta di sorgenti di rischio / opportunità prossime ad avverarsi. Per prepararmi, cerco di immaginare qualche scenario, quelli più probabili, e di prevedere gli effetti nei vari casi. Nell’attesa dell’ineluttabile, cercherò senz’altro di influenzare il sistema come posso, in modo da indurlo a “cadere” nella direzione che ritengo più opportuna.
Inoltre, cercherò di agire come se i casi più probabili fossero contemporaneamente veri sebbene uno solo verrà “selezionato” dalla realtà. Per esempio, se devo andare a comprare il pane ed il tempo è incerto, ipotizzo sia lo scenario: “pioverà” sia lo scenario: “non pioverà”. Decido di portare con me l’ombrello perché se è vero che pioverà allora l’ombrello mi sarà utile e se è vero che non pioverà, l’ombrello non sarà comunque un grande impiccio.
Sono persuaso che prepararsi ai momenti critici prevenga conflitti. Correre ai ripari a posteriori, spinge alle chiacchiere, alle critiche, al senno di poi etc. Non ho quindi timore a proporre in comunità momenti di discernimento e sessioni di pianificazione, anche se non vengono molto spontanei…
Il tempo del cuore
Nel momento della crisi, un fitto intreccio di legami causali si manifestano compensandosi, contrastandosi e potenziandosi vorticosamente. Come orientarsi se ci si trova presi dentro?
Non sono a scuola con i miei figli ma, in qualche modo, devo prendere decisioni inerenti il loro stare a scuola. Devo quindi conoscere la loro classe ed i loro insegnanti. Capitano situazioni complesse, in cui non è facile capire se l’insegnante sia troppo rigida o gli studenti troppo bravi nel raccontare i fatti. Per comprendere, si rende necessario interagire, rischiando di toccare una delle corde sensibili di un intrico di rapporti. L’osservatore influenza l’osservato. A voler calcolare tutte le possibilità, tutti gli scenari possibili, non si passerebbe mai all’azione.
Sento parlare, in più ampia prospettiva, di un mondo sempre più VUCA (Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity), come se vivessi stabilmente nell’instabilità, in un crescendo di stimoli ed interazioni mediatiche e sociali.
Per definizione, il nostro comprendonio è insufficiente: non ha tempo né spazio a disposizione per accogliere in sé tutte le informazioni, metabolizzarle e secernere decisioni ottimali. Non resta che affidarci all’intuito, armati di coraggio.
Dopo l’era della forza “muscolare” e dopo quella della supremazia intellettiva, mi trovo nel tempo del cuore. Ora sono vincente se ho coraggio, se riesco a lanciare il cuore oltre il confine angusto del mio comprendonio, dove si trova l’altro.
Quella della limitata capacità predittiva dei modelli deterministici è ormai una lezione ben consolidata persino dalla scienza. Tanto per fare un esempio, ricordo l’episodio delle previsioni del tempo calcolate col computer da Edward Lorenz, quello dell’effetto farfalla. Con la mente vado agli Anni ’60, un decennio prima della mia nascita. I meteorologi dell’epoca disponevano già di misure di pressione, umidità, velocità del vento, temperatura e così via raccolte tramite migliaia tra stazioni e palloni sonda. Un diluvio di dati umanamente intrattabile. Ma cominciavano ad essere disponibili i computer.
Il modello di Lorenz, basato su una dozzina di variabili, richiedeva ore ed ore di calcolo, durante il quale era possibile esaminare la computazione in corso. Ad un certo momento, Lorenz si accorse che la computazione variava sorprendentemente, bruscamente. Bastò variare l’ultima cifra decimale, un nonnulla dovuto all’approssimazione dello strumento di calcolo, per ottenere previsioni opposte: dal bel tempo alla bufera.
Una leggerissima differenza nel trattare le approssimazioni da parte di due sistemi di calcolo utilizzati, si è manifestata in previsioni del tempo diametralmente opposte a parità di procedura di calcolo!!! Questa è la tipica situazione caotica.
Non è difficile costruire architetture caotiche: si pensi al pendolo doppio. Ma mi affascina in particolare il modello dei boids.
Si tratta di un modello utilissimo nelle riflessioni riguardanti la comunità. Poche semplici regole descrivono omogeneamente il comportamento di tutti gli individui. Questo basta per restituirci lo schema complessivo del comportamento di un super-organismo, per nulla banale, come il movimento di uno sciame di insetti, di uno stormo di uccelli, di un branco di bufali o di pesci, della gente che gira a piedi in un centro commerciale, dei pensieri che migrano nelle nostre inquietudini etc. In rete si trovano numerosi simulatori dei boids con i quali divertirsi. Uno di questi è disponibile qui.
La morale è che le situazioni caotiche sono quelle così sensibili alle condizioni di partenza che basta uno sguardo di troppo per condizionare lo svolgersi degli eventi scatenati, sfuggendo ad ogni mia previsione.
Intermezzo: i frattali – il caos e la bellezza
La matematica è capace di costruire sistemi caotici. Il costrutto matematico caotico per eccellenza è il frattale. Ne posso concepire uno molto semplice usando l’iniziale del mio nome: N, che disegno tracciando tante N messe in fila, ciascuna delle quali è tracciata scrivendo la lettera N… e così via. Come si intuisce, se potessi procedere all’infinito con infinita precisione nel tracciare N, avrei fatto un disegno che, quasi magicamente, non cambia che io usi delle lenti di ingrandimento oppure no. Ciò che vedo si somiglia, a qualunque scala.
In Natura esistono numerose strutture paesaggistiche (es. le linee costiere) o viventi che sono auto-somiglianti. Un esempio per tutti: il cavolo romanesco.
Quando lo guardo, non posso non restare catturato dalla sua incredibile struttura geometrica.
Passando dalla “N” e dal cavolo ad una curva matematica definita tramite equazioni, si ottengono immagini infinitamente articolate, che, come accadeva all’iniziale del mio nome, si ritrovano a differenti scale di ingrandimento. Talora le figure ottenute hanno forme che ricordano esseri viventi.
Qui di seguito ecco un viaggio dentro un frattale di Mandelbrot.
Tutto questo per dire che, in certi casi…
imprevedibile è bello!
Il tutto funziona grazie all’apporto di ogni sua parte
A volte non resta che accettare l’impossibilità di mantenersi osservatori neutrali ed il fatto che, quindi, qualunque sarà l’azione che scelgo di intraprendere, ci saranno effetti prevedibili ed effetti non prevedibili. In ogni caso, non posso controllare da solo tutti gli aspetti ed ho necessità di comporre il mio sguardo ed il mio agire con quelli degli altri.
Accettare la complessità senza buttare via nulla significa anche rinunciare ad un orchestratore, a qualcuno che imponga dall’alto indicazioni sul da farsi. Il percorso si costruisce insieme, cammin facendo.
Per non perdere la bussola, c’è un modo. Di nuovo il paradigma della complessità offre spunti utilissimi. La questione è cruciale quindi mi soffermo snocciolando tre argomentazioni analoghe mutuate da domini del sapere disparati.
La prima lezione ci viene dalla fisica: la sincronizzazione dei metronomi. È il tavolo che, oscillando sotto la loro spinta, li induce a sincronizzarsi.
La seconda è quella della guerriglia dei nativi americani dell’epoca di Toro Seduto. Gruppi animati da un unico credo, profondi conoscitori del territorio, assalivano e scomparivano come fantasmi senza neppure bisogno di coordinarsi.
La terza lezione è quella delle Lettere di S. Paolo (quelle autentiche, non le deutero-paoline, vedi per esempio 1 Cor 12), in cui è forte il richiamo alla figura della chiesa come corpo di Cristo (senza specificare che Cristo ne è il capo come fanno invece le lettere deutero-paoline). Paolo punta il dito sull’unitarietà nella differenziazione, sull’armonia delle parti che concorrono al tutto.
Fare rete
Creare connessioni nel tempo del cuore… Come?
Le connessioni buone si creano come spiegato ai versetti da 25 a 37 del decimo capitolo del Vangelo secondo Luca: servono compassione, competenza e collaborazione. Sfruttando la rete stessa, più che lavorare per mantenermi connesso con Tizio, Caio e Sempronio separatamente, ottengo molto di più annettendoli tutti e tre alla rete che ho già. Il prezzo è quello di perdere un pochino il controllo e di lasciare che la rete si contamini e si evolva. L’importante è che il faro dell’unitarietà verso il quale guardare sia uno solo per tutti i membri della rete.
Le connessioni tossiche si creano in tanti modi, per esempio quando si persegue il quieto vivere. Sotto la coltre del silenzio, del non detto, si cela il seme della rovina, pronto ad infestare appena le condizioni lo consentono. Prima, sembra tutto sotto controllo. Dopo, si capisce che era solo un’illusione. Interessante il video seguente.
Provo a ragionare sulla dinamica esplosiva del quieto vivere usando il concetto fondamentale della cibernetica: quello degli anelli di retroazione.
Immagino di essere il timoniere che conduce la barca nel flusso delle interazioni interpersonali. Sono concentrato sul correggere la rotta in base alla direzione desiderata ed a quella verso la quale, di volta in volta, la corrente mi spinge. Ad un certo momento, incappo in un rapporto interpersonale che decido di gestire con l’approccio del quieto vivere. Il comportamento di questo mio amico mi infastidisce ma tollero, aspettandomi comprensione e autonomo adattamento da parte sua. Lui invece si sente autorizzato a perseguire nel proprio comportamento. Si forma un vortice nella corrente, la mia imbarcazione si carica di energia cinetica, accelerando e vorticando su se stessa, finché… Bum! La relazione si incrina. Insomma, il quieto vivere è una strategia loose-loose!
Al contrario, più tengo saldo il legame con una persona molto differente da me e più ho l’opportunità di vivere un’intensa dinamica di crescita. La contraddizione (negare ciò che si è divenendo ciò che non si è) è vitalità! Il simbolo yin-yang che, non a caso, tanto affascinava il fisico quantistico Niels Bohr, spiega benissimo il concetto.
Ecco dunque un altro importante spunto operativo per aver cura delle comunità: laddove colgo una contraddizione, ho trovato un’opportunità.
L’ologramma della comunità
Cerco di comprendere gli ologrammi, affascinanti rappresentazioni tridimensionali, ma non è facile esaminare il loro funzionamento interno perché è basato su diffrazione ottica ed interferenza tra onde luminose.
Tuttavia il comportamento tipico degli ologrammi ha strette analogie con fenomeni a me molto familiari, come, addirittura, la mia stessa mente. Lo colgo da episodi di vita quotidiana. Quando il sonno mi assale, i pensieri sbiadiscono, non spariscono uno per volta. Quando il sole tramonta, forme e colori diventano gradualmente confusi, non smetto di vedere un elemento paesaggistico alla volta. A mano a mano che l’informazione si riduce, nella mia mente la rappresentazione resta completa ma i dettagli sono sempre meno nitidi, più confusi.
L’analogia tra la mente e l’ologramma può essere fatta in termini di come la conoscenza e le informazioni sono distribuite e organizzate all’interno di essa. Ogni parte della mente contiene informazioni sull’intero sistema mentale, e ogni porzione di esso può essere utilizzata per ricostruire l’immagine completa.
Inoltre, alcuni ricercatori hanno proposto che la mente possa essere descritta come una sorta di codice olografico, in cui l’informazione è distribuita non limitatamente ad un punto specifico ma distribuita su tutto il sistema mentale (si dice “nonale”, contrario di “locale”).
Questa analogia è stata utilizzata per descrivere alcune proprietà della mente, come la capacità di ricordare informazioni anche se solo una piccola parte dell’informazione originale è disponibile.
La metafora vale anche tra ologramma e comunità, in termini di come l’informazione e la conoscenza sono distribuite all’interno di esse. In una comunità, la conoscenza e le informazioni possono essere condivise tra i membri, e ogni individuo può contribuire a creare una comprensione più completa della comunità stessa. Analogamente, in un ologramma, ogni parte contiene informazioni sull’intera immagine, e ogni porzione di esso può essere utilizzata per ricostruire l’immagine originale.
Inoltre, in una comunità, ogni membro ha il proprio ruolo e contribuisce alla sua funzionalità, e una comunità non può esistere senza la partecipazione di tutti i suoi membri. Allo stesso modo, in un ologramma, ogni parte è necessaria per la sua creazione e funzionamento.
Come per la mente, noto che l’informazione è distribuita in modo non locale, ovvero non limitata ad un punto specifico ma distribuita su tutta la comunità.
Complessivamente, la comunità è in grado di esprimere proprietà emergenti, non riducibili alla somma dei contributi dei singoli. Eccone qualche esempio.
- Cooperazione: raggiungere obiettivi comuni, come lo sviluppo economico, che non sarebbero stati raggiunti da ciascun individuo agendo da solo.
- Cultura: sviluppare una propria cultura, proprie tradizioni, valori e norme sociali, che non sarebbero stati creati dai singoli individui.
- Solidarietà: senso di sostanziale convergenza o identità di interessi, idee, sentimenti tra i membri della comunità, che può portare ad azioni di aiuto reciproco in caso di bisogno.
- Comunicazione: canali e reti utilizzati per scambiare informazioni e coordinare le azioni.
- Identità: immagine di sé distinta dalle altre comunità, basata su un insieme di caratteristiche, quali la cultura, la storia, i valori, le tradizioni.
- Intelligenza collettiva: capacità di risolvere problemi, prendere decisioni, generare conoscenza e innovazione, grazie alla interazione e alla cooperazione dei propri membri.
- Amore reciproco: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri. (Gv 13,34-35)
Soluzioni integrali
C’è un valore rispetto al quale cerco di ispirare ogni azione e progetto che impatta sulla vita comunitaria: la sostenibilità, intesa come capacità di progettare ed attuare consapevolmente modelli di sviluppo economico-lavorativo e sociale-relazionale in equilibrio nello spazio e nel tempo, con vantaggio complessivo.
Ora, considero che il mondo in cui vivo è piccolo (small word), tanto che nella rete sociale globale è stato stimato che la “distanza sociale” tra un cittadino italiano qualsiasi, me compreso, e il presidente degli USA è mediamente di sei strette di mano.
La conclusione di questo percorso partito dalla scacchiera di Adelson è che le soluzioni sostenibili, quando si vuole far crescere una comunità, sono sempre integrali: non si può lasciare indietro nessuno. La comunità va considerata nella sua interezza.
Certo, è una sfida grande quella di ripensare la comunità di cui faccio parte cercando di ricomprendervi tutto e tutti. La tentazione di semplificare e selezionare è forte. Ma non è necessario che io capisca e controlli tutto e tutti, solo che comprenda, che prenda dentro, che consideri la comunità nel complesso, cioè, come suggerisce l’etimologia, nel suo inestricabile intreccio, preparandomi anche ad accettare novità impreviste.
Della serie: “Dio c’è ma non sei tu. Dunque, rilassati!”.
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