Sappiamo che allontanarsi e perdere il contatto e la coerenza con la Narrazione Ultraterrena a cui ci affidiamo per orientarci, ci fa soffrire. Anche nella nostra vita digitale questo può avvenire.
Mi è stato chiesta una riflessione nell’ambito del percorso “Esercizi Spirituali nella Vita Ordinaria secondo il metodo di S. Ignazio, per Sposi”, meglio noto nella diocesi di Treviso come: “EVO Sposi”. Ecco il quesito che mi è stato posto:
Ti vorrei poi chiedere se te la senti di scrivere una breve riflessione su come il peccato sociale si strutturi anche attraverso il nostro uso poco consapevole, che diventa cattivo uso, degli strumenti informatici e di ciò a cui ci danno accesso. Per spiegarti meglio, stiamo rivedendo tutte le schede evo e vorremmo per la scheda [riguardante lo sguardo di fede sulla realtà del male] avere degli esempi più attuali . Ho pensato a te per questa parte del nostro quotidiano.
Nell’era digitale, gli strumenti informatici sono diventati parte integrante della nostra vita quotidiana. L’accesso a internet e ai social media ci ha aperto a nuove possibilità di comunicazione, informazione e condivisione. Tuttavia, l’uso poco consapevole di queste tecnologie può contribuire alla strutturazione del peccato sociale.
Uno degli aspetti più preoccupanti è la diffusione di informazioni false o distorte. La facilità con cui le notizie, vere o false, possono essere diffuse online contribuisce alla creazione di una cultura della disinformazione, che mina la fiducia nelle istituzioni e nelle fonti autorevoli.
Inoltre, l’anonimato che spesso caratterizza le interazioni online può favorire comportamenti aggressivi e offensivi. Il cyberbullismo, la diffamazione e l’incitamento all’odio sono solo alcuni esempi di come gli strumenti informatici possono essere utilizzati per ferire e umiliare gli altri.
Anche la dipendenza da internet e dai social media è un problema crescente. L’uso eccessivo di queste tecnologie può portare all’isolamento sociale, alla depressione e ad altri disturbi psicologici.
Infine, è importante ricordare che gli strumenti informatici sono spesso utilizzati per raccogliere e analizzare i nostri dati personali. Questa informazione può essere utilizzata per scopi commerciali o politici, senza il nostro consenso o la nostra consapevolezza.
In conclusione, è fondamentale utilizzare gli strumenti informatici con consapevolezza e responsabilità. Dobbiamo essere critici nei confronti delle informazioni che troviamo online, evitare comportamenti offensivi e proteggere la nostra privacy. Solo così potremo evitare che queste tecnologie contribuiscano alla strutturazione del peccato sociale.
Ecco alcuni esempi attuali per la scheda riguardante lo sguardo di fede sulla realtà del male:
- Diffusione di fake news e disinformazione attraverso social media e piattaforme di messaggistica.
- Cyberbullismo e molestie online, soprattutto tra giovani.
- Dipendenza da internet e dai social network, con conseguente isolamento sociale e problemi di salute mentale.
- Violazione della privacy e raccolta di dati personali senza consenso.
- Manipolazione dell’opinione pubblica attraverso algoritmi e propaganda online.
- Polarizzazione e radicalizzazione delle opinioni, alimentate da echo chambers e filter bubbles.
La “riflessione” qui sopra è in realtà una sorta di sintesi automatica prodotta da un essere fittizio, privo di esperienza corporea, la cui essenza è il condensato di un trilione di testi: è il prodotto di un Large Language Model ovvero di uno di quei costrutti informatici che al momento chiamiamo intelligenze artificiali, sebbene non siano né particolarmente intelligenti né particolarmente artificiali.
Stanco, sopraffatto dal pensiero dell’inesorabile crescita della lista delle cose da completare, mi son detto: “Perché no?” ed ho attivato un costrutto informatico affinché elaborasse la scheda riguardante “lo sguardo di fede sulla realtà del male” e le consegne di Letizia, e scrivesse una riflessione al posto mio. Ecco, l’ho confessato!
So benissimo di essere caduto nella cosiddetta automation bias cioè l’errore tipico di chi si appoggia troppo all’automazione e confida aprioristicamente sulla bontà della sua produzione. Ma è davvero troppo comodo! Peraltro, usare un LLM è un modo di lavorare che in molte situazioni è produttivo ed efficace, a partire dalla familiarità, per me, con la tastiera, lo schermo ed il mouse.
Il mio cellulare ed il mio computer sono ormai delle costanti nelle mie giornate, fanno parte di me. Ad essere precisi, non proprio i due oggetti ma i trattamenti di dati, informazioni, comunicazioni e conoscenze che posso fare grazie ad essi.
Senza l’accesso a tali flussi, non potrei acquisire così velocemente informazioni e prendere decisioni rapide, restare in contatto durante la giornata con così tanta gente lontana (neanche con le telefonate reggerei a tali ritmi), dare e ricevere denaro, intervenire sul flusso operativo dell’azienda o accendere, a distanza, il riscaldamento di casa etc. etc.
Mi riconosco non più come “persona-corpo biologico” ma come “persona-corpo biologico+estensione cibernetica”. Quanti film di fantascienza ho guardato! Ed ora mi accorgo di essere diventato io stesso un organismo cibernetico, un cyborg che, in quelle opere, è più frequente che vengano dipinti a toni tetri che come figure positive.
Negli anni ’60, McLuhan pubblicò il libro Understanding Media: The Extensions of Man (in italiano Gli strumenti del comunicare) in cui coniò la celebre frase “il mezzo è il messaggio”. Con questa affermazione, McLuhan intendeva sottolineare come la natura di un mezzo di comunicazione influenzi profondamente il modo in cui il messaggio viene percepito e interpretato, a volte persino più del contenuto stesso. Ad esempio, un messaggio trasmesso attraverso la televisione avrà un impatto diverso rispetto allo stesso messaggio trasmesso attraverso un libro o un giornale, perché la televisione, in quanto mezzo, privilegia l’immagine e l’immediatezza rispetto alla riflessione e all’approfondimento.
Chissà cosa direbbe McLuhan constatando che il mezzo è innestato nella persona?!
Sta di fatto che il nonluogo, l’internet, è comunque sede di interazioni organizzative effettive e degli eco delle relazioni affettive, come abbiamo imparato ben bene durante l’epoca del COVID. Dunque non solo il digitale estende la nostra capacità biologica di interagire e relazionarci ma tocca anche la sfera della psiche.
In questi anni, non si contano le incursioni della tecnologia nelle basi della vita: neuralink (la connessione tra elettronica e cervello a supporto della disabilità), bioingegneria, neural imaging, TEA (tecnologie di evoluzione assistita), organoidi… Da questo punto di vista, l’ideologia del gender può essere interpretata quale tristo presagio di tutto questo lavorio volto a conquistare controllo su almeno due livelli dell’esistenza delle persone: quello biologico e quello percettivo.
È vero anche il viceversa: ci sono incursioni della biologia e della psiche nel freddo terreno della tecnologia. Per esempio, i big data e le già citate Intelligenze Artificiali sembrano evolversi autonomamente, come se avessimo dato loro una vita propria.
Non stupisce che, a questi grandi e potenti nuovi mezzi, corrispondano nuove varietà di quei frutti che nascono dall’interno della persona. Faccio riferimento a Luca 6,43-45.
43 Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. 44 Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo. 45 L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore.
Ci sono frutti facili e difficili da cogliere e ci sono frutti che nutrono ed altri che intossicano. Qui ci concentriamo sui frutti, facili o difficili da cogliere, che intossicano.
Un frutto difficile da cogliere è quello che nasce dall’accoppiata della tecnologia con un’etica focalizzata sul profitto anziché con il bene comune.
- Ed ecco che X, il social network che si chiamava Twitter, diventa uno strumento di disinformazione e di esercizio del potere. In generale, i social network ci fanno vivere ogni giorno nel paradosso: uniscono e dividono. Uniscono le persone alle persone e dividono le persone al loro interno, al loro inferno digitale. Lì “è pianto e stridore di denti” e qualcuno ne resta sopraffatto, sentendosi perduto, profondamente sconsolato, disconnesso dalla rete salvifica degli affetti.
- Ed ecco che il fatto di poter editare il codice genetico ci può far arrivare un giorno a dubitare dell’alterità, dell’avere un mistero davanti a sé quando si incontra una persona. Anziché: “Chi ho davanti a me? Quale persona, risultato della sua storia vissuta fino a questo momento, ho davanti a me?” potremmo un giorno chiederci: “A quale dei ceppi genetici che abbiamo creato appartiene questo umano?”.
- L’economia della sorveglianza è un concetto che descrive un nuovo modello economico in cui la raccolta e l’analisi dei dati personali degli utenti vengono utilizzate come materia prima per generare profitto. In altre parole, le nostre azioni online e offline vengono monitorate e trasformate in informazioni preziose che le aziende possono sfruttare per vendere prodotti e servizi personalizzati, prevedere i nostri comportamenti e influenzare le nostre decisioni. Potere, disuguaglianza e violazione della privacy sono i suoi frutti.
- La consapevolezza del problema della bolla informativa è crescente, ma ancora insufficiente. Sempre più persone e ricercatori si rendono conto di come gli algoritmi personalizzati possano limitare la nostra esposizione a punti di vista diversi dai nostri, creando così delle vere e proprie “bolle” informative. La bolla informativa ci offre un ambiente confortevole, in cui siamo circondati da opinioni che condividiamo. Confermare le nostre credenze ci dà un senso di sicurezza e appartenenza. Gli algoritmi delle piattaforme online sono progettati per prevedere i nostri interessi e mostrarci contenuti sempre più personalizzati, rafforzando così la nostra bolla.
- E se crediamo che fake news e deep fake siano fenomeni su grande scala, mettiamoci calmi e riguardiamo qualche chat sul nostro cellulare. Quanti istituti scolastici ci sono nella città? E quante classi? Beh, per ciascuna classe solitamente c’è un gruppo su WhatsApp, gentilmente e gratuitamente (ma dove?!) messo a disposizione dal Sig. Zuckerberg. Tipicamente, capita che ci siano delle discussioni interessanti e che si arrivi a delle conclusioni degne di nota. Queste però non sono ordinatamente archiviate, sono da qualche parte nel flusso indistinto della chat che, col passare delle settimane, sbiadisce nell’oblio. Ciò che è accaduto è che abbiamo usato uno strumento che intrinsecamente porta all’amnesia e di qui il passo con la confusione e gli equivoci è breve. Oltre a questo, stiamo dando qualcosa al Sig. Zuckerberg e non siamo neppure ben consapevoli di cosa gli stiamo dando. E non contenti abbiamo creato un meccanismo sociale tale per cui, siamo quasi costretti a farlo: è diventata una consuetudine, così fattuale da affiorare anche in qualche vicenda giuridica. Se questi sono i frutti, qual è la fonte nel cuore delle persone che li ha generati? L’uso imprevidente dello strumento.
Quest’ultimo peccato digitale è al confine tra il sociale ed il personale. Nella sfera personale, i frutti tossici sono forse più facili da cogliere.
- Senti il bisogno di controllare continuamente il tuo smartphone, anche quando non ci sono notifiche? Hai paura di perderti qualcosa che sta succedendo online e senti il bisogno di essere sempre connesso? Hai difficoltà ad addormentarti o a mantenere un sonno profondo a causa dell’uso eccessivo dei dispositivi elettronici prima di andare a letto? Ti risulta difficile concentrarti sui tuoi compiti o studiare a causa delle continue distrazioni provenienti dal tuo telefono o computer? Preferisci interagire con gli altri attraverso i social media piuttosto che di persona, e hai difficoltà a instaurare relazioni significative? Ti senti spesso stressato, irritabile o ansioso a causa dell’overload di informazioni e stimoli provenienti dal mondo digitale? Soffri di mal di testa, affaticamento degli occhi o dolori alla schiena a causa di un uso prolungato dei dispositivi elettronici? Se si, hai bisogno di digital detox.
- Grazie al neural imaging, si è rilevato che gli effetti sul cevello della dipendenza da certe droghe presentano analogie con quelli dovuti alla dipendenza dalla pornografia. Sia la dipendenza da sostanze che quella da pornografia attivano e modificano circuiti cerebrali simili, in particolare il sistema della ricompensa. Questo sistema, quando viene stimolato da sostanze o comportamenti gratificanti (come guardare materiale pornografico), rilascia dopamina, un neurotrasmettitore che produce sensazioni di piacere e rinforza il comportamento. Come nelle dipendenze da sostanze, anche nella dipendenza da pornografia si possono sviluppare tolleranza (necessità di stimoli sempre più intensi per provare la stessa gratificazione) e sintomi da astinenza (ansia, irritabilità, depressione) quando si cerca di ridurre o interrompere il comportamento. Sia gli individui dipendenti da sostanze che quelli con dipendenza da pornografia manifestano comportamenti compulsivi, difficoltà a controllare gli impulsi e una crescente difficoltà a svolgere le attività quotidiane. Entrambe le dipendenze possono causare alterazioni cognitive, come difficoltà di concentrazione, problemi di memoria e alterazioni dell’umore. Il digitale ha messo a disposizione di tutti una quantità enorme di materiale pornografico la cui fruizione può portare ad una condizione che, come avrai capito, non è un semplice vizio.
- Se dal punto di vista organizzativo, annullare tempi e distanze è un gran vantaggio quasi sempre (non sempre, esistono delle particolari situazioni organizzative in cui un minimo di tempo e distanza sono necessari), dal punto di vista affettivo è l’esatto contrario. Se l’attesa amplifica il desiderio (= “lontano dalle stelle”) ed il desiderio è ciò che ci proietta nel siderale, l’immediata accessibilità a un’infinità di informazioni e stimoli offerta dal mondo digitale può tenerci a terra, privi di slanci immaginativi e spirituali. Il senso di sazietà immediata attenua il desiderio di cercare e scoprire nuove cose. La possibilità di connettersi con chiunque e ovunque annulla la distanza fisica e psicologica che alimentava il desiderio. Gli algoritmi personalizzano i contenuti, ma spesso in modo omogeneizzante, limitando la possibilità di fare esperienze uniche e inaspettate. La costante sollecitazione da parte dei dispositivi digitali frammenta la nostra attenzione, rendendo difficile concentrarsi su un singolo obiettivo o desiderio.
- Il rapporto tra una persona e un chatbot può essere fonte di problematiche e avere conseguenze negative. I chatbot sono programmati per simulare conversazioni umane, creando l’illusione di una relazione profonda e significativa. Esistono casi documentati in cui emerge che si è arrivati all’attaccamento affettivo che, quando ci si rende conto della natura della relazione, può portare a sentimenti di solitudine e isolamento. C’è chi cerca supporto emotivo in questi costrutti informatici, per poi rimanere deluso e frustrato perché essi non sono in grado di tenere conto della complessità delle relazioni umane. Però se in questo momento senti il bisogno impellente di una confessione, non serve che aspetti un prete fisico: per te c’è, disponibile qui ed ora, Deus in Machina.
- Se qualcuno o qualcosa aiuta le persone ad incontrarsi o, addirittura, a trovare il compagno o la compagna della propria vita, in linea di principio, non può che essere valutato positivamente! Eppure, se si passa per un’app per il nostro smartphone, questa può essere utilizzata eccessivamente, come qualunque altra app. Cosa succede se si ricorre troppo ad app di incontri? Le app di incontri presentano un flusso costante di profili, spesso ritoccati e presentati sotto una luce estremamente positiva. Questo crea un ambiente in cui gli utenti si confrontano costantemente con un ideale di bellezza e perfezione spesso irrealistico. Tale confronto può portare a sentirsi inadeguati e a sviluppare una bassa autostima. Il meccanismo del “match” e del “non match” può essere fonte di rigetti continui. Ogni rifiuto può essere vissuto come un giudizio personale sul proprio valore, erodendo l’autostima e generando sentimenti di inadeguatezza. La necessità di creare un profilo accattivante e di ricevere approvazione dagli altri può generare ansia da prestazione significativa. La paura di non essere all’altezza delle aspettative può portare a un circolo vizioso di insicurezza e perfezionismo. Paradossalmente, l’uso eccessivo delle app di incontri può portare a un maggiore isolamento sociale. La ricerca costante di connessioni virtuali può sostituire le interazioni reali, limitando le opportunità di sviluppare relazioni autentiche e profonde. Questo isolamento può a sua volta influenzare negativamente l’autostima. L’uso compulsivo delle app di incontri può portare a una dipendenza psicologica, simile ad altre dipendenze comportamentali. La ricerca costante di gratificazione immediata attraverso i “match” e le interazioni virtuali può distrarre dalle altre aree della vita, indebolendo l’autostima e generando sentimenti di vuoto.
- Anche nella genitorialità, il digitale può essere sede di nuovi peccati. Pensiamo ad un genitore costantemente attaccato al telefono o al computer: che esempio può dare? Figurarsi se poi uno è capace di impostare limiti e monitorare le attività online dei figli, sensibilizzandoli ai rischi dovuti all’uso eccessivo o all’esposizione a contenuti inappropriati o a contatti pericolosi! Al contrario, qualche volta il digitale viene usato come babysitter, che tiene occupati i bambini, al riparo dal fango e dai rischi che i giochi all’aperto, come le attività dello scoutismo, possono comportare. Sta al genitore la responsabilità di mostrare come essere presente, non distratto da notifiche e chiamate che fanno sentire poco importante chi hai davanti. Come pure la trasmissione della cultura della privacy, anziché condividere foto o video dei figli sui social media senza il loro consenso esponendoli al giudizio degli altri ed inducendo paragoni insani tra ragazzi e bambini.
Torniamo a Luca 6,43-45: gli strumenti non sono buoni o cattivi. Ma il digitale richiede studio, conoscenza, cultura come reazione alle forzature culturali operate da grandi poteri economici e politici. Non smettiamo mai di immaginarci Gesù col cellulare in mano: che uso ne farebbe attraverso le nostre dita?