Insiemistica è un termine matematico che fa pensare solamente agli insiemi ma, in realtà, tratta la relazione tra insieme ed elemento, tra pluralità ed individualità. Tutta la matematica si fonda sulla teoria degli insiemi, così com’è stata formulata da Zermelo e Fraenkel nel 1908 (v. Teoria degli insiemi di Zermelo-Fraenkel). Essa consiste solamente in una decina tra assiomi (affermazioni assunte come vere) e schemi assiomatici (regole utilizzabili al contempo sia per costruire assiomi sia per controllare se un’affermazione è un assioma).
Gli assiomi si esprimono in termini di “insieme”, “elemento”, “appartenenza” e di connettivi logici.
Ecco per esempio l’assioma di estensionalità: “Due insiemi sono uguali se e solo se hanno gli stessi elementi”. Esso definisce un criterio preciso per stabilire se due insiemi sono uguali o no.
La realtà ci pone spesso di fronte a situazioni in evoluzione, confuse o, addirittura, sfuggenti, nel senso che ciò che osserviamo richiede strumenti più rapidi, precisi o meno invasivi di quelli che abbiamo a disposizione.
Nelle situazioni complesse, farebbe comodo un aiuto da parte della matematica: dov’è applicabile, trasforma ciò che è complesso in complicato e quindi, se ci si applica con pazienza e strumentazione adeguata, controllabile. Invece, salta uno degli assiomi di ZF, spesso proprio l’assioma di estensionalità, e l’intero apparato matematico non è più applicabile. Non è un peccato?
Armati di una certa caparbietà, scienziati ed ingegneri si adoperano per far rientrare dalla finestra la matematica uscita dalla porta, per così dire. Si ricorre alla topologia, alla teoria della misura etc. e, al prezzo di utilizzare formalismi piuttosto pesanti, in qualche modo si riesce a mettere in piedi un qualche sistema di calcolo.
E se invece…
E se, invece, passassimo dal pensiero insiemistico, che presuppone un livello di controllo pressoché assoluto, ad un pensiero in cui ci sia spazio per la complessità? In cui si accetta di perdere un pochino il controllo? In cui non tutto è immutabile, non tutto è esplicitabile?
L’idea che ho in mente è di candidare il concetto di flusso come base per una qualche entità simile alla matematica.
Il flusso va concepito, a mio avviso, come qualcosa che emerge nella dinamica osservato – osservatore. L’osservatore che costruisce o rifinisce la rappresentazione dell’osservato, distingue parti di questo, nel suo evolversi. Si noti come questa concezione comprenda il tempo. Più precisamente, il tempo potrebbe risultare – è un’ipotesi di lavoro – come proprietà emergente della suddetta dinamica.
Ragionando in modo molto grossolano in vari settori del sapere, potrebbe funzionare:
- Che cos’è che è al contempo un’onda ed una particella? Un flusso!
- Se al posto di trattare la relazione tra due categorie di entità condannate ad esistere su piani separati (insiemi ed elementi), trattiamo la relazione parte-tutto nel mondo dei flussi ecco che trova spazio l’approccio olistico / olonico.
- Se si congela il tempo e se si fissa il livello di precisione dell’osservatore, i flussi sono riducibili ad elementi ed insiemi.
- L’informazione è un flusso, quindi formalizzare il concetto di flusso può aiutare a fornire un fondamento alla Teoria dell’Informazione.
- Il pensiero è flusso. Il linguaggio comunica pensiero: trasmette flusso.
- Nei linguaggi formali, anche informatici, i segni per variabili indicano flussi di dati o di incognite.
Questa ricerca va sviluppata lungo tre direttrici: realtà, intelletto e verità nel senso di adaequatio rei et intellectus. La prima direttrice è quella della raccolta di esempi in base ai quali definire i concetti che ci servono; la seconda si occupa del formalismo, della codifica in linguaggio e convenzione; la terza è quella dell’applicazione del modello concettuale formalizzato, in modo da validarlo o perfezionarlo.
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