• La complessità è nell’osservato o nell’osservatore?

    La complessità è nell’osservato o nell’osservatore?

    [Tempo di lettura: 6 minuti]

    Un sistema è complesso perché lo è intrinsecamente o perché viene considerato tale, piuttosto che semplificarlo?

    A cena, una persona, che chiamiamo Cesca, mi indica un porta bustine da bar e dice: “Ecco! Vedi? Questo sistema è semplice!”. Io obietto: “Dipende…”. Ed inizia una discussione animata, interrotta solo perché si è fatto tardi, lasciando entrambi i contendenti con il senso dell’incompiutezza. Secondo te, stimato lettore, un tale oggetto è o no un sistema complesso? È stato un azzardo, da parte mia, rispondere in modo dubitativo?

    Per chiarire i termini della contesa, innanzitutto riflettiamo su alcuni concetti. Cominciamo con la parola: “intrinseco“.

    “Intrinseco” significa che qualcosa è inerente o essenziale alla natura di una cosa, col sovrappiù che si tratti di una caratteristica fondamentale, non qualcosa di aggiunto o superficiale.

    • Il colore rosso di una fragola matura è intrinseco alla fragola matura stessa. Non è qualcosa che puoi togliere senza cambiare la natura della fragola matura.
    • La capacità di pensare è intrinseca agli esseri umani. Non è qualcosa che impariamo, ma fa parte di ciò che siamo.
    • La dolcezza è intrinseca allo zucchero. Non è un attributo che gli viene dato, ma una sua qualità fondamentale.
    • In economia, si parla di valore intrinseco di un bene, ovvero il suo valore reale, basato sulle sue caratteristiche e non sul prezzo di mercato.
    • Il desiderio di fare qualcosa per il piacere di farla, non per una ricompensa esterna è la motivazione intrinseca. La passione per la musica è una motivazione intrinseca a suonare uno strumento.

    Un’altra parola chiave è: “oggettivo“. Siccome noi conosciamo per esperienza diretta o indiretta, una caratteristica di un oggetto o un fatto sono oggettivi se chiunque li può percepire allo stesso modo o, in altri termini, se non dipendono dal soggetto. È difficile immaginare caratteristiche intrinseche non oggettive. L’unico modo che mi viene in mente è qualcosa che sia strettamente legato al contesto. Per esempio, la “fragilità” di un bicchiere è intrinseca al vetro di cui è fatto, ma si manifesta solo in determinate condizioni (ad esempio, se cade a terra). In questo senso, la fragilità potrebbe essere vista come una proprietà intrinseca ma non completamente oggettiva, perché la sua manifestazione dipende dal contesto. Viceversa, è facile trovare caratteristiche oggettive non intrinseche: la posizione di un libro in uno scaffale, il colore di una mela, l’altezza di una persona.

    C’è infine un termine intermedio tra oggettivo ed intrinseco: inerente. Tutto ciò che è intrinseco è inerente ma non vale il viceversa. Per esempio, la capacità di volare degli uccelli è inerente ma non tutti gli uccelli volano e quindi non si può dire che si tratti di una caratteristica intrinseca. Infatti, un uccello con un’ala rotta resta sempre un uccello; inoltre ci sono uccelli come le galline che non volano.

    La complessità è oggettiva, inerente o intrinseca? O nessuna delle tre cose?

    Secondo me, la stessa porzione di realtà percepita può essere considerata contemporaneamente in tanti modi differenti, coerenti tra loro, ma con diverso grado di complessità, tanto che si può considerare complessa, complicata o semplice. Dunque tutto dipende dal punto di vista.

    Questo presuppone la distinzione tra sistema e porzione di realtà percepita corrispondente. Il concetto di “sistema” abita su un piano dell’esistenza più elevato rispetto a quello di “porzione di realtà”.

    Il porta bustine si veste dell’aura del sistema complesso se lo consideriamo microhabitat per milioni di microorganismi. Non c’è modo di ricondurre il funzionamento complessivo a quello delle bustine o dei singoli micro-organismi: ci sono delle proprietà emergenti. Per esempio, l’effetto sulle caratteristiche organolettiche dello zucchero nel caso in cui il barista lasci troppo tempo in pace il microhabitat, libero di evolversi.

    La mentalizzazione: una porzione di realtà viene riportata nella mente di una persona passando per i sensi ed il filtro delle proprie esperienze.

    Il porta-bustine può essere considerato un sistema complicato e non complesso se lo si osserva dal punto di vista della fisica dinamica, per la quale ciò che conta sono forze, forme, attriti etc:

    • Non è “semplice” perché le interazioni tra le bustine, anche se semplificate, possono generare comportamenti non banali.
    • Non è “complesso” perché le interazioni sono comunque lineari e prevedibili, e non si osservano comportamenti emergenti.

    Infine si può dire che è un sistema semplice, nel momento in cui ci basta descriverlo in termini di:

    • dimensioni del contenitore: lunghezza, larghezza e altezza.
    • dimensioni delle bustine: lato del cubo;
    • numero di bustine: quanti cubi sono presenti;
    • disposizione: come sono disposti i cubi (ad esempio, in file ordinate).

    Ora, se Cesca, parlando con me, indica il porta bustine ed asserisce che è un sistema semplice, io interpreto così ciò che sta accadendo: Cesca indica una porzione di realtà che lei percepisce e, implicitamente, fa intendere un modo di schematizzarla – quello semplice.

    Tra le tante schematizzazioni possibili, quando non si dice esplicitamente quale va utilizzata, si sottintende sempre che è la più semplice possibile, in conformità al principio noto come Rasoio di Occam.

    Con questo abbiamo risolto la diatriba! In effetti, Cesca ed io abbiamo entrambi ragione e tra noi non c’è conflitto, bensì solo bisogno di un po’ di dialogo perché ciascuno possa compiutamente esprimere ciò che pensa.

    A ben vedere, abbiamo anche implicitamente assunto un principio ontologico ed identificato un bias che si presenta nella vita quotidiana.

    Il principio ontologico sancisce che una porzione di realtà può essere interpretata schematizzandola in molteplici modi possibili, a seconda del punto di vista.

    Tra i punti di vista c’è però un legame. Matematicamente, diremmo che l’insieme dei punti di vista è organizzato, strutturato in qualche modo. Come? Direi con una mappa. Deve trattarsi di una mappa che rispetta abbastanza i flussi e le connessioni tollerando incoerenze locali, come avviene nel ragionamento ipotetico. Cerco di spiegarmi meglio.

    Siano PdV1 e PdV2 due punti di vista. Per esempio, potremmo osservare lo stesso lago da due diverse posizioni della riva. Oppure potremmo usare un punto di vista a riva e l’altro portandoci in acqua o, ancora, usare un drone e portarci alcuni metri sopra il lago. Da solo non potrei farlo contemporaneamente: o siamo in due o son da solo e mi sposto. In entrambi i casi, il confronto tra le immagini ottenute da PdV1 e PdV2 dà luogo ad una mappa, non nel senso geografico del termine, piuttosto un’associazione in cui alcuni dettagli verranno identificati come appartenenti allo stesso elemento paesaggistico pur essendo in due immagini differenti. Se anziché scattare istantanee, registriamo video, potremmo per esempio riconoscere il movimento dello stesso uccello o pesce nei due video. Va da sé che potremmo avere dei dubbi sulla mappatura di alcuni elementi. Se capita per esempio che si muovano tanti pesci simili insieme, potrebbe risultare davvero difficile identificare i pesci corrispondenti nei due video.

    Potremmo definire come verità assoluta la mappatura di un flusso in tutti i punti di vista: se si riesce a costruirla, allora abbiamo trovato un dato oggettivo, una caratteristica inerente, una proprietà intrinseca. Se invece la mappatura non è definita in tutti i punti di vista, il dato non è intrinseco e potrebbe non essere neppure inerente o addirittura risultare soggettivo.

    Ti piacciono i gialli investigativi? O gli episodi di serie di fantascienza in cui si esplorano le implicazioni di un superpotere o di un’innovazione futuristica? Fai parte di associazioni o organi collegiali o gruppi di consulenti? Se rispondi si almeno una volta allora ti invito a declinare la mappatura di alcune presunte verità attingendo da quanti più punti di vista possibile e più disparati che puoi. Sicuramente – non ho alcun dubbio – rimarrai sorpreso dell’esito.

    Angolature e strumenti differenti consentono di cogliere dati oggettivi, tra i quali trovare proprietà inerenti e caratteristiche intrinseche.

    Per concludere, resta la questione del bias. Quando ho accennato al Rasoio di Occam, ho fatto riferimento alla “schematizzazione più semplice possibile”. Questa locuzione è però intrinsecamente ingannevole: possono esserci più schematizzazioni con la stessa semplicità. Et voilà! L’equivoco è servito! “Equivoco” deriva dal latino “aequivocus“, che significa “con uguale voce” e indica una parola o un’espressione che può avere più significati. Una persona indica una porzione di realtà, mentalmente la schematizza nel modo che gli sembra più semplice e, quindi, ovvio ma non fa caso al fatto che ci possano essere alternative altrettanto (più o meno) semplici. A schematizzazioni differenti corrispondono forme di flusso di pensiero differenti. Piccole differenze possono risultare trascurabili o, viceversa, venire amplificate in modo non lineare fino alla catastrofe, che poi sarebbe l’incomprensione, il disguido, il conflitto.


    Le immagini sono foto scattate da Nicola Granà o create da Nicola Granà con Midjourney.